Barometro: Fedeli alle azioni

Barometro: Fedeli alle azioni

Sebbene il rally dello scorso anno abbia portato le valutazioni azionarie a livelli elevati, riteniamo che le azioni statunitensi possano consolidare i loro guadagni nelle prime settimane del 2025.

Asset allocation: non cedere alla tentazione di incassare

Con i mercati azionari che hanno vissuto un anno eccezionale, è naturale che gli investitori che hanno beneficiato del rally stiano pensando seriamente di assicurarsi i loro guadagni. Dovrebbero resistere a questa tentazione, almeno per ora. La forte convinzione della necessità di ridurre l’esposizione azionaria è una realtà. Pur adottando politiche favorevoli alle aziende che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump si è impegnato a mettere in atto, i mercati non hanno tenuto in debita considerazione le misure che potrebbero far vacillare le aziende. Le valutazioni, elevate rispetto ai livelli storici, suggeriscono inoltre un margine limitato per ulteriori guadagni.

Tuttavia, gli argomenti a favore di una sottoponderazione delle azioni sono meno convincenti se si considerano le condizioni economiche e creditizie: esaminando il panorama degli investimenti in questa prospettiva, riteniamo che i titoli possano continuare la loro corsa positiva a breve termine. Quindi, pur tenendo sotto controllo i numerosi rischi che potrebbero turbare i mercati azionari nei primi mesi del 2025, continuiamo a sovrappesare le azioni e a sottopesare la liquidità, rimanendo neutrali sulle obbligazioni.

Fig. 1 - Griglia mensile dell’asset allocation
Gennaio 2025
Fonte: Pictet Asset Management

Le nostre analisi sul ciclo economico suggeriscono che le condizioni economiche rimarranno favorevoli, sostenendo gli introiti e i profitti delle aziende nei prossimi mesi. Particolarmente incoraggiante è il fatto che le banche centrali stanno riducendo i tassi d’interesse, mentre gli indicatori economici anticipatori sono per lo più in territorio positivo. Secondo noi, la combinazione di tassi in calo e crescita del PIL più alta si verifica solo il 10% delle volte ed è sempre positiva per le azioni.

Un’altra osservazione incoraggiante da trarre dalla nostra analisi è che l’economia statunitense sembra destinata a un atterraggio morbido, evitando il brusco rallentamento temuto da parecchi investitori. Prevediamo che nel corso del 2025 la crescita del PIL si ridurrà costantemente verso il tasso potenziale a lungo termine del Paese pari al 2% annuo. Un simile scenario prevederebbe inoltre un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve statunitense meno aggressivo di quanto attualmente previsto dal mercato. Una riduzione dei tassi d’interesse statunitensi assai inferiore al 4,5%, equivalente a un ulteriore taglio di almeno 25 punti base, sembra improbabile.

Le condizioni economiche in Europa sono ad ogni modo meno incoraggianti, anche perché gli sconvolgimenti politici sia in Germania che in Francia stanno pesando sul sentiment delle imprese e dei consumatori. A sostenere la crescita nella regione sarà però il calo dei tassi d’interesse: prevediamo che la Banca Centrale Europea ridurrà i costi di finanziamento all’1,75%, se non addirittura al di sotto, nei prossimi mesi.

Fig. 2 - Si apre un divario
Utili statunitensi meno il rendimento reale dei titoli di Stato (%) e indice S&P a confronto con l’inflazione
Fonte: Refinitiv DataStream, Robert Shiller, IBES, Federal Reserve statunitense di Cleveland, Pictet Asset Management. Il rapporto EY è l’inverso del rapporto CAPE di Shiller prima del 1987, rendimento degli utili a termine su 12 mesi dopo il 1987. Il rendimento obbligazionario reale statunitense a 10 anni è calcolato come rendimento nominale: inflazione tendenziale a 10 anni prima del 1983; dal 1983 al 2003 utilizziamo le aspettative inflazionistiche a 10 anni misurate dalla Fed; dopo il 2003, il rendimento obbligazionario reale a 10 anni è il rendimento dei TIPS a 10 anni registrato. Dati relativi al periodo 01/01/1971-18/12/2024.

I nostri sistemi di misurazione della liquidità indicano ulteriori guadagni per le asset class più rischiose. L’impulso positivo, che tende a favorire un’espansione dei multipli degli utili azionari, riflette in gran parte il continuo allentamento monetario da parte delle banche centrali di tutto il mondo. Venti delle trenta principali banche centrali del mondo stanno tagliando i tassi e solo tre hanno tassi in aumento. Guardando al futuro, anche se riteniamo che i tassi d’interesse negli Stati Uniti non dovrebbero scendere ulteriormente, prevediamo che il recente cambiamento della politica monetaria cinese da "prudente" a "moderatamente allentata" dovrebbe contribuire a mantenere il flusso creditizio nell’economia in generale.

Anche se siamo positivi sulle prospettive per le azioni, non possiamo ignorare il segnale d’allarme che emerge dalle valutazioni. Con valutazioni pari a circa 22 volte gli utili a termine, il 15% in più rispetto alle nostre stime per il fair value dell’intero ciclo, le azioni statunitensi paiono particolarmente costose. Lo stesso vale per i titoli ciclici, soprattutto rispetto ai settori difensivi. Un altro segnale in merito a valutazioni potenzialmente al ribasso è il premio per il rischio azionario, un indicatore del quale è il divario tra i rendimenti degli utili e il rendimento dei titoli di Stato statunitensi a 10 anni in termini aggiustati per l’inflazione. Una riduzione del differenziale al di sotto dei 2 punti percentuali tende a predire un’ondata di vendite di azioni (si veda la Fig. 2). Attualmente, le azioni hanno un margine di rialzo dell’8% prima di raggiungere tale soglia.

Gli indicatori tecnici, invece, sono positivi per le asset class più rischiose. I sondaggi mostrano che il posizionamento degli investitori in merito ai titoli azionari è diventato meno rialzista nelle ultime settimane: le azioni non sono più "ipercomprate", il che è considerato un segnale "contrarian" positivo. Al contempo, i flussi azionari rimangono forti con flussi record nel mercato statunitense e la stagionalità sostiene un’ulteriore allocazione all’asset class.

Regioni e settori azionari: ulteriori guadagni per gli Stati Uniti

Le azioni statunitensi paiono sempre più costose, ma per il momento ci sono buone notizie a sostegno. Con i titoli azionari che offrono un rendimento azionario del 18%, la dinamica di crescita degli utili societari che rimane solida, un’economia interna resiliente e un miglioramento del sentiment prima della presidenza di Trump, i segnali rimangono positivi.

Tuttavia, le valutazioni elevate suggeriscono che il margine di guadagno aggiuntivo sarà più basso in assenza di un’impennata della crescita economica statunitense, derivante da un aumento della produzione reale e della produttività. Detto questo, mancano i segni rivelatori di condizioni di bolla di mercato, vale a dire sentiment degli investitori euforico, leva finanziaria eccessiva e attività febbrile di fusioni e acquisizioni. L’elevata concentrazione di guadagni in una manciata di titoli azionari è un motivo di preoccupazione (si veda la Fig. 3). Tuttavia, nel complesso, riteniamo che ci sia probabilmente un’ulteriore possibilità di rialzo del 10% per il mercato statunitense prima che la prospettiva di una correzione significativa diventi un importante motivo di preoccupazione.

Di conseguenza, manteniamo la nostra posizione di sovrappeso sui titoli azionari statunitensi, il che dovrebbe contribuire a sostenere anche i mercati azionari globali. Esclusa la Cina, riteniamo inoltre che i titoli azionari dei mercati emergenti sono convenienti. Hanno registrato una performance relativamente buona l’anno scorso, superando quella delle azioni europee e, a meno di misure protezionistiche estreme da parte di Trump, dovrebbero continuare ad andare bene. 

Abbiamo alzato da neutrale a sovrappeso la nostra valutazione sui servizi di comunicazione. Questo perché il settore sta assistendo a una dinamica positiva degli utili anche se il resto del mercato sta registrando una flessione del sentiment e, nonostante l’esposizione a fattori di crescita strutturale come il boom dell’intelligenza artificiale, le valutazioni non sono eccessive. Inoltre, siamo positivi sia su Alphabet (Google) che su Meta, che insieme costituiscono circa il 50% dell’indice settoriale globale. Entrambe le aziende vantano una comprovata e consolidata leadership nell’innovazione tecnologica. 

Fig. 3 - Concentrazione
Indici azionari statunitensi a confronto: I magnifici 7 rispetto a S&P 493, Russell 2000 rispetto a S&P 493, S&P Equal weighted rispetto a S&P 500
Fonte: IBES, Refinitiv DataStream, Pictet Asset Management. Dati relativi al periodo 15/12/2023-18/12/2024.

Abbiamo inoltre alzato da sottopesato a neutrale l’immobiliare. Con l’allentamento della politica monetaria da parte delle banche centrali, gli asset reali appaiono sempre più interessanti. Con rendimenti reali in calo, è probabile che gli investitori stiano cercando rendimenti migliori di quelli generati dalla liquidità parcheggiata nei mercati monetari. Il settore immobiliare, che negli ultimi anni ha subito una battuta di arresto, sembra essere una buona alternativa, soprattutto considerando l’elevato corso dei titoli azionari. In questo contesto è istruttivo esaminare gli sviluppi del mercato immobiliare svizzero. Con la banca centrale svizzera che dovrebbe riportare i tassi in territorio negativo, l’indice immobiliare svizzero ha registrato un rally significativo, in aumento di quasi il 20% su base annua. Questo potrebbe costituire un precedente per il settore in generale.

Rimaniamo positivi sul settore finanziario che dovrebbe trarre grandi benefici dal cosiddetto "Trump trade", anche se nei prossimi mesi potremmo prendere in considerazione una riduzione dell’esposizione in portafoglio. Siamo inoltre positivi sui servizi di pubblica utilità, nonostante la sottoperformance che il settore ha registrato l’anno scorso. La forte domanda di energia elettrica dovuta al progressivo abbandono dei combustibili fossili e all'espansione dell'IA potrebbe contribuire all'aumento del consumo di elettricità. Al contempo, il settore rappresenta una valida protezione contro la ciclicità del mercato azionario.

Fig. 4 - Battaglia delle banche centrali
Tasso di riferimento terminale USA rispetto a quello dell’UEM*
Fonte: Bloomberg, Pictet Asset Management 
* Tasso OIS reale USA-UE su base quinquennale. Dati relativi al periodo 18/12/2014-18/12/2024.

Reddito fisso e valute: ancora oro

Gli investitori vanno perdonati per aver pensato che il rally del 2024 è stato tutto incentrato sui titoli tecnologici e sulle azioni statunitensi. Non sono tuttavia stati i soli protagonisti. L’oro ha registrato il suo anno migliore dal 2010 e riteniamo che vi siano buone ragioni per mantenere l’esposizione all’interno di un portafoglio bilanciato.

Con la maggioranza repubblicana sia in Senato che alla Camera dei Rappresentanti negli Stati Uniti, è probabile che assisteremo a un programma di spesa fiscale su larga scala. Ciò susciterà preoccupazioni sull’inflazione e sulla sostenibilità dell’onere del debito statunitense, entrambi fattori di supporto per l’oro dato il suo status di asset reale e di bene rifugio. Con tassi d’interesse più bassi, vediamo del potenziale per una ripresa della domanda di metalli preziosi tra gli investitori retail. 

Infine, ma non meno importante, l’oro gode della domanda strutturale da parte delle banche centrali dei mercati emergenti, che non sono particolarmente sensibili ai prezzi. Per questi motivi, riteniamo che i mercati continueranno a trascurare le valutazioni (tra le più costose negli ultimi vent’anni) e che l’oro rimarrà una copertura essenziale contro la possibilità di stagflazione e deprezzamento del dollaro nei prossimi mesi.

Nei mercati del reddito fisso, invece, preferiamo le obbligazioni dei mercati emergenti, sia per quel che riguarda il debito in valuta locale che il mercato del credito. Il nostro indicatore anticipatore dell’attività commerciale nei Paesi emergenti è tornato in territorio positivo, sostenuto da una dinamica positiva del commercio globale. Prevediamo che il divario di crescita tra le economie emergenti e quelle sviluppate si amplierà (a 1,7 punti percentuali nel 2025 rispetto a 1,5 nel 2024), un andamento storicamente positivo per le obbligazioni dei mercati emergenti.

Le obbligazioni dei mercati emergenti al netto dell’inflazione sembrano particolarmente interessanti e con molta probabilità lo diventeranno sempre di più con gli ulteriori tagli dei tassi d’interesse nelle economie sviluppate, in particolare in Europa.

Altrove, la ricerca di rendimento potrebbe favorire le sezioni ad alto rendimento del mercato del credito sviluppato. Diamo la preferenza all’high yield europeo rispetto a quello statunitense. Le valutazioni sono più favorevoli e l’asset class dovrebbe beneficiare di quello che prevediamo sia un ciclo di allentamento relativamente aggressivo e prolungato della BCE. Il tasso di riferimento terminale dell’eurozona scontato dai mercati dovrebbe essere inferiore di circa 150 punti base rispetto a quello degli Stati Uniti, a fronte di un divario medio a lungo termine di circa 90 punti base (si veda la Fig. 4).

Sottopesiamo le obbligazioni svizzere in considerazione delle loro valutazioni elevate e del fatto che i mercati stanno già scontando la probabilità di un calo dei tassi d’interesse al di sotto dello zero. Ciò limita la misura in cui i rendimenti delle obbligazioni a breve scadenza possono scendere rispetto ai livelli attuali.

La nostra posizione sui Treasury USA è neutrale. Sebbene prevediamo che la crescita della più grande economia mondiale rallenterà fino all’1,9% nel 2025 (rispetto al 2,7% dello scorso anno), è necessario prendere in considerazione i rischi associati a una prosecuzione dello stallo del processo disinflattivo. In effetti, nell’ultima riunione, la Fed ha deluso le aspettative irrealistiche del mercato in merito alla profondità del ciclo di allentamento. A nostro avviso, ciò elimina il rischio di un allentamento eccessivo e di una dolorosa inversione di rotta.

Per il dollaro, le prospettive sono contrastanti. Sebbene la prospettiva di nuovi dazi commerciali da parte dell’amministrazione Trump possa rivelarsi favorevole, le valutazioni della valuta paiono estremamente forzate e il neoeletto presidente statunitense ha già dimostrato di saper ridimensionare le quotazioni del biglietto verde. Rimaniamo pertanto neutrali per il momento.

Fig. 5 - Il grande dollaro
Indice del dollaro statunitense DXY
Fonte: Refinitiv, Pictet Asset Management. Dati relativi al periodo 01/01/2024-18/12/2024.

Panoramica dei mercati globali: un fine anno volatile per il 2024

Gli ultimi mesi sono stati complessi, in sintonia con il resto dell'anno, con mercati azionari che hanno dovuto far fronte a un dicembre volatile, ma che hanno comunque registrato guadagni massicci su 12 mesi. In valuta locale, le azioni hanno perso lo 0,5% nel mese, ma hanno guadagnato il 22% sull’anno.

Una parte della performance di dicembre sarà senza dubbio legata alle prese di profitto di fine anno e ad altri fattori tecnici. Tuttavia, con due anni consecutivi di guadagni superiori al 20% per le azioni statunitensi, c’è anche il timore che i titoli azionari possano perdere slancio ed arrestare la loro corsa. Particolarmente preoccupante è la concentrazione sul mercato. Il mercato statunitense costituisce circa il 70% dell’indice azionario globale, mentre una manciata di titoli azionari, i "magnifici sette" più o meno, rappresentano la maggior parte degli utili.

A dicembre le azioni statunitensi hanno perso l’1,1%, ma sono salite del 27% sull’anno, pari alla performance dell’anno precedente. La forza del dollaro (si veda la Fig. 5) è riuscita a sostenere alcuni altri mercati, in particolare quello giapponese e quello dei mercati emergenti, con le azioni giapponesi che hanno guadagnato il 5% su base mensile in valuta locale, mentre le azioni emergenti sono salite dell’1,7%. Lo yen è sceso di oltre il 5% nel mese e ha perso quasi l’11% sull’anno.

Le azioni hanno dovuto far fronte al rialzo dei rendimenti obbligazionari. Le obbligazioni globali hanno perso l’1,5% a dicembre in valuta locale, con un calo marginale dello 0,1% sull’anno. In dollari, l’andamento appare peggiore a causa dell’inarrestabile corsa del biglietto verde. Il dollaro è salito del 2,1% nel mese, grazie alla mossa aggressiva della Fed e all’effetto Trump, e del 6,6% su base annua.

Tra le obbligazioni sovrane, i Treasury USA hanno registrato la maggior perdita mensile con un calo del 2,9%. La sorprendente resilienza dell’economia statunitense e le aspettative che le politiche commerciali e fiscali "trumpiane" saranno inflazionistiche hanno indotto gli investitori a ridimensionare le loro aspettative in materia di tagli dei tassi da parte della Fed. D’altro canto, le stesse forze che influenzano le azioni hanno anche guidato il credito societario, scatenando volatilità a fine anno in un mercato che ha registrato una buona performance complessiva per il 2024. L’high yield europeo è stato il grande vincitore, guadagnando lo 0,6% nel mese e l’8,6% su base annua. Altre parti del mercato hanno tenuto meno bene, con un calo del 2% dell’investment grade statunitense nel mese.

Aspettative di crescita più robusta hanno dato impulso alle materie prime, con un aumento del 2% nel mese e di quasi l’8% sull’anno, e hanno persino contribuito a ridurre le perdite del mercato petrolifero. E sebbene l’oro sia sceso dell’1,6% nel mese, è stato uno dei maggiori vincitori del 2024, con un rialzo di poco inferiore al 27%.

Le informazioni, opinioni e stime contenute nel presente documento riflettono un giudizio espresso alla data originale di pubblicazione e sono soggette a rischi e incertezze che potrebbero far sì che i risultati reali differiscano in maniera sostanziale da quelli qui presentati.
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