Pictet Group
La fotografia: un'arte universale?
“Ho fatto il fotografo perché volevo raccontare storie in grado di testimoniare il mio tempo”. Questo è il rapporto con la fotografia di Oliviero Toscani, maestro di quest’arte così adatta a trasmettere messaggi potenti e in grado di raggiungere tantissime persone. Toscani è stato ospite dell’ultimo evento organizzato da Pictet Wealth Management dedicato ai giovani della Next Gen, andato in scena lo scorso 29 marzo al Teatro Gerolamo di Milano. La serata, condotta dalla curatrice Silvia Berselli, ha visto anche la partecipazione di Isabelle von Ribbentrop, direttrice del Prix Pictet: un premio internazionale di fotografia che premia i lavori in grado di comunicare messaggi sulla sostenibilità a un pubblico globale.
A fare gli onori di casa Paolo Ramondetti, Deputy Country Head di Pictet Wealth Management Italia: “All’interno di questo teatro si svolgeva un tempo uno spettacolo di marionette tra i più importanti d’Europa. All’epoca le storie si raccontavano così. Sicuramente immagine e fotografia sono legate da un fil rouge con il teatro e, oggi, la fotografia è onnipresente nella nostra vita”. Nell’epoca di Snapchat, Instagram e dei selfie, infatti, l’immagine è diventata quasi un linguaggio: “In realtà siamo solo all’inizio, perché nel futuro vedremo ancora più immagini di quelle che vediamo oggi”, è convinto Ramondetti, “pensiamo al potere che tutti insieme possiamo esercitare quando le immagini diventano virali. Questo potere può avere un impatto se viene esercitato con responsabilità. Sono due aspetti inscindibili. Ed è uno dei temi che andremo a sviluppare questa sera”.
Negli anni, le evoluzioni tecnologiche hanno fatto sì che scattare una foto divenisse alla portata di tutti. Oggi, con uno smartphone, bastano pochi secondi mentre una volta ci voleva molto più tempo. E si possono scoprire una città o bellezze naturali senza averle vissute con un’esperienza diretta. “Tutti sono in grado di scattare una fotografia, un po’ come tutti possono cantare”, osserva Toscani, “Ci sono quelli che usano la fotografia cercando di fare poesia e poi ci sono quelli che documentano. Io faccio il fotografo perché voglio documentare eventi, manifestazioni, esteriorità della mia generazione. È così che ho cominciato: a partire dalla minigonna, per arrivare alle scomodità sociali. Dal bello fino al brutto. E devo dire che non mi interessa la fotografia di guerra, ma la documentazione sociale. Non ho bisogno di fotografare per me stesso e compiacermi della mia capacità tecnologica di fare le foto. Mi interessa raccontare delle storie che testimonino il mio tempo. Questo è il mio rapporto con la fotografia”.
“Se c’è qualcosa che avrei voluto fotografare degli eventi del passato? La fotografia è la memoria storica dell’umanità, il resto sono chiacchiere”, continua Toscani. “Io avrei voluto avere la macchina per fotografare Gesù Cristo camminare sull’acqua. Avrei voluto essere alla crocifissione. Avrei voluto immortalare Garibaldi durante l’unificazione dell’Italia, perché se ci fossero le foto delle violenze perpetrate da lui e dai mille Garibaldi non sarebbe un eroe”.
E in quest’epoca di sfide globali, dall’ambiente alla lotta per i diritti, saper usare il grande potere della fotografia può smuovere le coscienze nel mondo. “In futuro si studierà il passato attraverso tutte le immagini che sono state prodotte”, è convinto Toscani, “quando in Europa abiteranno per la maggior parte quelli che oggi chiamiamo immigrati clandestini, e questi saranno diventati avvocati o giudici, deterranno il potere, forse guardando le foto degli anni Venti si chiederanno in quale modo li abbiamo accolti e forse ci dovremo vergognare. Noi ci lamentiamo di un mondo violento, ma in realtà siamo dei collaborazionisti se non facciamo niente”. Toscani nella sua carriera ha ritratto migliaia di persone, anche il paesaggio italiano: “Noi siamo il Paese delle grandi architetture. Ma la qualità dell’architettura non è mai stata più bassa come negli ultimi 80 anni: guardate le periferie, guardate di cosa siamo contornati architettonicamente. Mi spiace dire questo, ma fotografare vuol dire analizzare, criticare e riportare per avere un mondo migliore, quindi non datemi del pessimista”. Il fotografo porta poi alla memoria un caso recente, dove una fotografia drammatica ha avuto il potere di scuotere molte coscienze: “Ci siamo tutti resi conto dell’immigrazione quando abbiamo visto il bambino siriano morto sulla spiaggia. Ci siamo commossi dopo aver visto la foto, perché ci vogliono le fotografie per toccarci il cuore. La fotografia è la testimonianza di quello che ci circonda, serve a farvi vedere le cose che stanno succedendo”.
L’idea di usare la fotografia per trasmettere messaggi è alla base anche del Prix Pictet, un premio fotografico internazionale che non si ferma alla semplice bellezza grafica di una fotografia, ma valorizza l’idea che c’è dietro, al fine di aumentare la consapevolezza su partite fondamentali come il cambiamento climatico e la sostenibilità. “L’idea è nata durante una cena con Kofi Annan, l’ex segretario delle Nazioni Unite”, spiega von Ribbentrop. “Lui era un grande fan della fotografia e dell’arte in generale. E ci siamo chiesti: cosa potremmo fare per aumentare la consapevolezza globale? Eravamo nel 2008, ossia prima che Instagram venisse fondato. E prima ancora che la parola sostenibilità fosse ben presente nelle nostre menti: nessun giornalista ne avrebbe mai scritto. Così abbiamo pensato di creare un premio fotografico. La fotografia trasmette messaggi molto più velocemente di quanto farebbe un dipinto ad olio. Inoltre, arriva più velocemente anche a quella parte di popolazione che non sa né leggere né scrivere, che è analfabeta. Oggi un po’ tutti si sentono, come diceva Oliviero prima, fotografi. Tutti scattano foto, in qualsiasi momento. Riteniamo quindi che in questo mondo digitale la fotografia potrebbe essere il mezzo giusto per trasmettere messaggi su questioni ambientali e di sostenibilità”.
Il Prix Pictet può contare su una cerchia di esperti per selezionare i lavori. Agli artisti viene lasciata una certa libertà: “Abbiamo anche stabilito che ogni fotografo debba inviare una serie di fotografie e non una soltanto. Questo è molto importante perché ci piace valorizzare l’aspetto narrativo”. Il Prix Pictet viene poi mostrato in tutto il mondo: “Rendiamo le mostre accessibili a tutti senza fare pagare un biglietto d’ingresso”, sottolinea la direttrice, “E stiamo costruendo una rete sempre più grande che funge da importantissimo canale di visibilità per i fotografi, soprattutto quelli meno conosciuti che non hanno magari una galleria che li rappresenti. Noi ci teniamo in stretto contatto con loro per sostenerli, cercando di produrre libri che includano i loro lavori e supportandoli sui social. Abbiamo aperto la mostra anche alle classi scolastiche. Ed è questo, in sintesi, il nostro modo per provare a fare qualcosa: come disse una volta Kofi Annan, non è mai troppo tardi per invertire i danni che abbiamo fatto”.
La nona edizione del premio aveva come tema principale “il fuoco” ed è stata vinta dalla fotografa americana Sally Mann. Nella sua serie “Blackwater”, Mann ha esplorato un terreno paludoso e pieno di predatori in Virginia documentando i vasti incendi e il fumo denso che distruggevano il terreno durante la sua visita e rimandavano, simbolicamente, al conflitto razziale in America. “Questa edizione l’abbiamo mostrata in tutto il mondo: ora è a Dublino, prima era a Hong Kong, a Singapore. Quest’anno farà tappa ancora a Francoforte e poi a New York”, spiega von Ribbentrop. Nel frattempo, è stata già lanciata la decima edizione del premio che avrà come tema “l’uomo”: a settembre saranno comunicati i vincitori al Victoria & Albert Museum di Londra. “Questo è il nostro decimo ciclo e abbiamo scelto come tema l’uomo perché è lui, più di tutti, il protagonista di ciò che sta succedendo oggi nel mondo. Le serie fotografiche che stiamo ricevendo sono alcune bellissime, altre devastanti, altre ancora documentano il comportamento sociale degli esseri umani”, aggiunge la direttrice del Prix Pictet. “La grande cerimonia di premiazione sarà a Londra, a settembre, e sarei più che felice di avervi con noi. Mostreremo l’essere umano in giro per il mondo e, si spera, riusciremo a fare tappa anche in Italia, magari a Venezia perché non siamo ancora stati lì. Inoltre, abbiamo anche una retrospettiva del Prix Pictet al Museo della Croce Rossa a Ginevra, dove sono esposte 250 opere d’arte di tutti i nostri fotografi del passato. Si tratta di immagini legate alla sostenibilità che non sono mai state viste prima in nessuna altra mostra”.
Nel corso della conferenza è stato toccato anche il tema dell’intelligenza artificiale, con un riferimento particolare alle immagini circolate sul web riguardo al finto arresto di Donald Trump o alle foto del Papa che indossava un piumino di una nota marca di lusso. La domanda è se tutto questo potrebbe un giorno mettere in pericolo la creatività dei fotografi: “Non credo sia così”, afferma Toscani, “Shakespeare è tutto fake, ciò non toglie che il teatro ci abbia insegnato tante cose. Motivo per cui l’intelligenza artificiale non mi disturba perché non è intelligenza e non è nemmeno artificiale. Penso che ci aiuterà molto, del resto l’intelligenza artificiale è quello che programmiamo noi. Toglierà il lavoro solo ai mediocri, invece tutti coloro che fanno ricerca, che cercano di innovare, non verranno intaccati in alcun modo dalla sua avanzata”. Nessun pericolo, quindi, per la creatività: “No, perché la creatività è solo una conseguenza. Se hai talento e ti metti a fare qualcosa allora è lì che nasce la creatività. Più sei insicuro di fare qualcosa che non esiste né in cielo e né in Terra, più sei eccentrico, e più sei interessante. Dobbiamo ringraziare gli eccentrici, quelli scomodi, perché è da loro che nascerà la creatività ed è lì che sarà il futuro del mondo”.
A margine della conferenza, uno dei giovani presenti ha poi pregato Toscani di tornare sul suo concetto di mediocrità e di come si possa fare per distinguersi: “La mediocrità è un virus tremendo, accontenta tutti”, spiega il fotografo, “Se cercate il consenso, produrrete solamente mediocrità. Esiste un rapporto fra coraggio e successo. Non è scontato che tu faccia qualcosa in cui veramente credi. Se sei veramente un artista puoi parlare, ragionare, reagire e fare solamente ciò che sei capace di fare tu. Se tu fai qualcosa guardando quello che è già stato fatto, allora sei mediocre. Se sei veramente te stesso, invece, può essere che tu abbia qualcosa di così individuale, di così unico, da essere interessante”.