Il ruolo delle donne artiste

Il ruolo delle donne artiste

Pictet e la Leadership femminile

Riscoprire la potenza e le potenzialità dell’arte, partendo proprio dalle opere realizzate dalle donne artiste. Un universo della creatività al femminile ancora poco valorizzato nei musei e nelle collezioni, ma che indubbiamente sta crescendo e che può offrire un contributo importantissimo al superamento delle disuguaglianze tra uomini e donne. Questo uno dei principali temi emersi dalla nuova tappa degli eventi sulla leadership femminile organizzati da Pictet Wealth Management, che si è tenuta lo scorso 14 marzo a Milano, nella splendida Fonderia Artistica Battaglia. “Nel nostro ciclo di eventi legati alla leadership femminile, abbiamo deciso di sospendere per un momento le analisi economiche per dedicarci alle emozioni, alla bellezza e alla cultura”, è stato il messaggio introduttivo di Alessandra Losito, Equity Partner, Country Head di Pictet Wealth Management in Italia. “La Fonderia Battaglia è una tra le più antiche d’Italia, attiva dal 1913. Si tratta di un luogo iconico di grande creatività dove nei decenni sono passati gli artisti più famosi. Pictet ha una collezione d’arte istituita nel 2004, con circa 1000 opere distribuite nei suoi uffici. Anche nelle sedi italiane abbiamo piacere di ospitare alcune opere della collezione. Oggi, più che mai, crediamo che le donne artiste possano avere un impatto sulla cultura del nostro tempo”. 


Ospiti dell'evento dedicato alla leadership femminile nell'arte Loa Haagen Pictet, curatrice e responsabile della creazione della collezione d'arte Pictet. Insieme a lei sul palco, Francesca Pini, art writer che nella sua carriera ha intervistato decine di famose donne artiste e co-curatrice della mostra di Marc Quinn History Now, in concomitanza con la 59esima Biennale di Venezia. In collegamento da New York Cecilia Alemani, direttrice artistica della 59esima Biennale di Venezia (prima donna italiana a curarla), oltre che Chief Curator della High Line Art a New York. Da Marsiglia, invece, è intervenuta in video l’artista Paola Pivi che vede tra le sue opere più famose una riproduzione della Statua della Libertà che è stata collocata mesi fa sulla High Line nell'ambito della programmazione di arte contemporanea.

Una biennale a traino femminile 

La conversazione è partita dall'esperienza di Cecilia Alemani che, grazie alla sua Biennale di Venezia, ha portato a conoscenza del pubblico tante artiste donne. “Trent’anni fa sarebbe stato possibile fare una mostra così? Forse sì, ma certo sarebbe stato ancor più rivoluzionario di quanto non lo sia già oggi”, afferma la curatrice. “Le mostre possono fare una grande differenza non solo nel mondo dell’arte, ma anche nella cultura e nella società, almeno come esempio della ricchezza del linguaggio artistico femminile e di un panorama di voci creative incredibile ed effervescente in tutto il mondo”. Una biennale che è stata apprezzata in particolar modo anche da Loa Haagen Pictet: “Tanti gli aspetti che mi hanno colpito, a partire dalla scelta del soggetto col focus sull’immaginazione e i sogni delle donne artiste. Le opere presenti sembravano aprirsi verso un mondo umanista, ovvero con l’umano al centro. Ed è stata una vera Biennale con opere nuove e artiste sconosciute alle mostre internazionali, provenienti da diversi paesi. Si è percepito l’enorme lavoro fatto per riunirle. Un evento che ha avuto il merito di far capire quanto non sia più necessaria una grande maggioranza di uomini artisti, quando una presenza forte di donne può aprirci a possibilità mai viste prima. E, per finire, questa Biennale non è stata figlia del mercato, era priva della presenza di potenti gallerie pronte a vendere opere all’uscita. E questo richiede indipendenza e coraggio perché c’è sempre bisogno di finanziamenti”.

La direzione artistica di Cecilia Alemani alla Biennale di Venezia era stata preceduta nel 2017 da quella di Christine Macel e, prima ancora, nel 2011 da quella di Bice Curiger. “Sono entrambe curatrici e intellettuali che ammiro da tantissimo tempo”, prosegue la Alemani. “Non ci siamo sentite a proposito della Biennale però avevo visto Bice a Los Angeles qualche settimana prima che iniziasse la pandemia e ci eravamo scambiate consigli e informazioni. Il lavoro che entrambe hanno fatto con le loro curatele è stato fondamentale, basti pensare alla bellissima mostra che fece Macel un paio d’anni fa, “Le donne e l’arte astratta”: rileggere la storia dell’arte astratta, connessa a un predominio di artisti maschili, è stata la chiave della produzione femminile. Insomma, quello che hanno fatto sia in Biennale sia fuori è stato molto importante per me”. 

Il padiglione della Svizzera alla 59esima Biennale di Venezia ha proposto un' artista di rilievo. L'artista scelta a rappresentare la Confederazione elvetica è stata Latifa Echakhch, nata in Marocco ma ora residente vicino a Lucerna. Un bel segnale di vitalità artistica che potrebbe portare a un incremento delle opere femminili anche nella collezione Pictet: “Oggi, sul totale delle nostre opere, il 25% sono di artiste donne”, spiega Loa Haagen Pictet, “nel nostro lavoro di selezione facciamo attenzione nell’avere equilibrio in tal senso, anche se non abbiamo una quota di riferimento. Certo vogliamo incrementarla piano piano. Abbiamo una collezione che parte dal 1805, anno di fondazione della banca, fino ad oggi, e siamo quindi legati a un tratto della storia dove è stata meno facile l'emancipazione delle donne nell’arte. Questo influisce senza dubbio sul nostro 25% sebbene ci siano musei che hanno ad oggi solo l’1% di opere realizzate da donne”. 

Una rivisitazione moderna della statua della liberta 

Cecilia Alemani, con la sua direzione artistica alla High Line di New York, ha promosso anche scultrici, un ambito ancora più difficile per le donne rispetto alla pittura. Di una di queste opere abbiamo visto in Fonderia il modello in resina della Statua della Libertà, realizzato da Paola Pivi, una grande artista italiana che ha cambiato il volto dell’icona degli Stati Uniti apponendovi cinque diverse maschere cartoon, la prima è stata quella di suo figlio poi, nell'ultima versione, quella di un amico indigeno che vive in Alaska. “È stata un’opera che ha ricevuto tantissime reazioni e commenti”, ricorda Alemani, “non abbiamo potuto registrarli ma è parte del mio lavoro ascoltare di nascosto i commenti dei visitatori. Devo dire che ha suscitato un’impressione fortissima. La Statua della Libertà è un simbolo riconosciuto nel mondo e Paola è stata brava ad aggiornarlo, usando un linguaggio comprensibile anche ai più giovani. La sua opera parla di storie di immigrazione, personali, non famose, di persone arrivate negli Usa considerandola una terra di Libertà”. 

A proposito di questa sua opera, è intervenuta all’evento l’autrice stessa: “Al momento sono a Marsiglia, sto installando al Mac. La mia mostra qui si intitolerà “It’s not my job, it is your job” e verrà inaugurata il 6 aprile. Quando sono stata invitata a partecipare alla High Line non potevo che essere entusiasta”, racconta la Pivi, “la riproduzione della Statua della Libertà con le maschere in stile emoji rappresenta persone la cui libertà è legata, positivamente o negativamente, agli Stati Uniti. Ognuna ha una propria storia che è scritta sotto in un cartello”. L’artista spende poi un ringraziamento speciale allo scomparso Matteo Visconti. "Qui alla Fonderia Battaglia, lui ha partecipato alla produzione della mia opera in modo fantastico, con le mani in pasta ha fatto quella statua con me, mi ha insegnato a fare il bronzo. Abbiamo realizzato una statua alta cinque metri, classica, la fonderia non faceva statue classiche da decenni, lui con la sua grande cultura mi ha aiutato a curare ogni dettaglio. Una copia della Statua della Libertà che secondo me è la più bella di tutte, seconda solo a quella originale dell’artista”.

La svolta delle collezioniste donne 

Il collezionismo è stato per lungo tempo prerogativa maschile. Oggi, però, il vento sta cambiando e le collezioniste donne possono giocare un ruolo chiave nell’alimentare la leadership femminile anche nel mondo dell’arte. “Ci sono tantissime collezioniste incredibili, ovunque e in tutto il mondo”, osserva la direttrice della High Line Art, “che tuttavia non hanno avuto le stesse attenzioni della stampa e di certi colleghi. Questo è parte di un problema più grande. La voce del collezionismo sia femminile che al femminile è importantissima e si impone in modo più silenzioso, sebbene questa non sia una nota negativa. Se siamo in questa attività è perché amiamo l’arte e vogliamo supportare artisti e artiste, che poi le collezioniste non siano conosciute quanto Steve Cohen non è così rilevante. L’importante è il lavoro che si fa”. 

Nonostante la crescita della presenza femminile, alla guida dei grandi musei del mondo, dal MoMa, al Metropolitan, al Guggenheim, per arrivare agli Uffizi la scelta cade quasi sempre su direttori maschi, anche se il Louvre è diretto oggi da Laurence des Cars e a Vienna ben nove musei sono capitanati da direttrici. “Forse non stiamo facendo abbastanza”, sottolinea Loa Haagen Pictet, “ma devo dire che è presente ad oggi un bel movimento, che sta crescendo. Quando si studia Storia dell’Arte si incontrano sempre più donne che uomini e le collezioni di aziende, società e fondazioni sono dirette nel 95% dei casi da donne”. 

Forse per abbattere le ultime barriere servirebbe anche una mano dalla storia. A Washington, grazie alle donazioni di alcuni mecenati tra cui Melinda French Gates, allo Smithsonian nascerà l’American Women History Museum, un museo che valorizzerà il contributo delle donne in ogni campo. Viene da chiedersi se un'iniziativa simile sia possibile anche in Europa e in Italia. “Credo si possa fare, anche per compensare una storia che non è stata giusta con le donne”, continua la curatrice della collezione Pictet, “quest’ultime sono state poco valorizzate nei secoli e quindi ben venga l’eccellente iniziativa dello Smithsonian, di cui ce n’era proprio bisogno”. 

“Io sono sempre favorevole all’apertura di nuovi musei”, afferma la Alemani, “l’America è sempre estrema in tutto quello che fa e questo per noi europei è sempre complesso da capire, ma poi i risultati ci sono. A Washington c’è anche un altro museo che in questo momento è chiuso ma riaprirà a ottobre: il Women in The Arts, dedicato alle donne artiste. Così come tanti altri musei dedicati alle cosiddette minoranze. Non dovremmo ancora parlare di certe distinzioni, si dovrebbe entrare in un museo d’arte contemporanea e vedere di tutto, ma non siamo ancora a questo punto. Ritengo che sul piano educativo, per le nuove generazioni, vedere opere e voci di artiste sia assolutamente fondamentale”.

Per quanto riguarda l’Italia, poi, “si potrebbe fare cento, anche mille volte di più per esportare l’arte italiana”, continua Alemani, “e creare un dialogo internazionale con curatori e curatrici stranieri, che vengano in Italia a conoscere i nostri artisti. Ma è importantissimo che anche il settore privato abbia un ruolo in questo, perché non ci si può aspettare troppo dai musei che hanno magari problemi di fondi. In questo il privato può essere più flessibile, agile e veloce nel supportare gli artisti”.

Oltre le quote rosa

Nonostante questo movimento della leadership femminile nell'arte sia in ascesa, ancora oggi le artiste quotate in asta rappresentano solo il 2% del mercato. Tra donne e uomini permane dunque un price gap rilevante. Cosa serve per ridurre questa differenza? “Si deve continuare a insistere perché già oggi le opere di donne sono di più”, afferma Loa Haagen Pictet, “Si parla tanto di inclusività e diversità nel mondo del business, del management. Trovo sia eticamente importante andare in questa direzione anche nel mondo dell’arte. Grazie a iniziative come quelle della Biennale, ad esempio, è possibile allargare la visione del mondo e abbattere le barriere”. 

In questo senso, però, la direttrice della High Line Art non vorrebbe un mondo di quote rosa: “Sono fortemente contraria. Sono il riflesso della nostra società. Si dovrebbe essere in grado di fotografare la nostra società contemporanea con tutte le diverse varianti e sfumature, senza escludere. Quanto alle aste, non penso siano loro a dettare i trend e non sono lo specchio della nostra società. Si tratta di un giochetto tra poche persone ricche, meno dell’1% del totale, e non sono certo rappresentative di quello che succede nel mondo”. Il peso delle donne artiste, infatti, non dovrebbe risiedere nei numeri quanto nel valore aggiunto che quest’ultime hanno e trasmettono: “Ci sono più del 2% di donne nelle gallerie”, aggiunge Loa Haagen Pictet, “oggi vediamo un movimento in crescita che vede rappresentate donne e minoranze. L’arte non può essere vissuta in modo settario”.

Forse, quindi, servirebbe lo spirito delle artiste della Body Art che dagli anni Sessanta in poi hanno liberato il corpo delle donne, spingendo gli ideali del femminismo e proponendo una leadership femminile. “In effetti siamo qui grazie al grandissimo lavoro di artiste fatto negli anni Sessanta e Settanta”, conclude la Alemani, “ma l’esperienza che ho avuto con la Biennale è che non bisogna necessariamente ingabbiare il lavoro delle artiste sotto il cappello della condizione femminile. Come ha insegnato la mia mostra, le artiste donne restano sempre artiste. E possono esprimere la loro arte con un quadro astratto che parli di qualsiasi cosa, non necessariamente o esclusivamente della condizione femminile. Dobbiamo uscire da una simile gabbia mentale. Ci sono artiste bravissime che non vogliono essere etichettate come femministe, o contrapposte ai maschi, ma vogliono andare semplicemente oltre la mera dicotomia tra maschile e femminile”.

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