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Barometro: seguire la crescita
Asset allocation: un ritorno all'apprezzamento
Le economie mondiali hanno evitato la recessione, il teatrino legato all'aumento del tetto al debito statunitense si è chiuso e le pressioni inflazionistiche hanno continuato ad attenuarsi. Almeno a livello superficiale, è facile trovare motivazioni che giustifichino la ripresa del mercato azionario negli ultimi sei mesi.
Tuttavia, i prezzi degli asset cominciano a mostrare segni di eccessivo apprezzamento (o autocompiacimento) ed è quindi opportuno restare cauti. I mercati finanziari stanno compiendo un atto di fede nello scontare un forte rimbalzo dell'attività economica, che consideriamo poco supportato da prove. Nonostante l'allentamento delle tensioni inflazionistiche, i prezzi faticano a scendere e, mentre le banche centrali più aggressive mantengono alta l'allerta, gli investitori sono esageratamente ottimisti nel prevedere l'inizio dei tagli dei tassi. Allo stesso tempo, l'economia cinese ha ricominciato a rallentare.
Per questo, continuiamo a sottopesare le azioni. Le valutazioni si sono nuovamente riprese e gran parte della performance del mercato statunitense si concentra solo su sette titoli tra le big della tecnologia. In parte, ciò è dovuto all'effervescenza per l'intelligenza artificiale (IA). L'IA è vista come la prossima grande rivoluzione tecnologica e gli investitori sono attratti dalle più recenti iterazioni dei modelli di linguaggio estesi (LLM) su cui l'IA si basa. In effetti, ChatGPT e simili potrebbero innescare un cambiamento radicale della produttività economica (e quindi di crescita e utili); tuttavia, da parte nostra non siamo ancora altrettanto entusiasti. Nel frattempo, la stretta monetaria dello scorso anno condiziona ancora le economie sviluppate, preannunciando nuovi rialzi dei tassi su entrambe le sponde dell'Atlantico.
La nostra cautela si traduce nel continuare a sovrappesare i titoli obbligazionari, in particolare i Treasury USA, che dovrebbero beneficiare del fatto che il ciclo di stretta della Federal Reserve statunitense sia in una fase più avanzata rispetto alla Banca Centrale Europea.
I nostri indicatori di ciclo economico mostrano per quest'anno una crescita economica contenuta per il mondo sviluppato (1%), ma significativamente robusta nei Paesi in via di sviluppo (4%). Il differenziale è superiore alla media a lungo termine di 2,5 punti percentuali. Ciononostante, le economie sviluppate si stanno dimostrando più resilienti di quanto si potesse pensare all'inizio di quest'anno e dovrebbero per lo più evitare una recessione.
Gli Stati Uniti, in particolare, sono aiutati dal ritardo con cui generalmente i rialzi dei tassi d’interesse si trasmettono all'economia e dalla resilienza dei consumi. Il Giappone è invece in controtendenza, con una crescita superiore al potenziale: prevediamo infatti un'espansione economica dell'1,5% quest'anno.
Sebbene le prospettive economiche per la maggior parte dei mercati emergenti stiano migliorando, la Cina ha perso un po' di slancio. Abbiamo tagliato dal 6,6% al 6% le nostre previsioni di crescita per l'economia cinese, ma prevediamo un rimbalzo più consistente, visto che l'allentamento monetario probabilmente sosterrà il mercato immobiliare nei prossimi mesi.
I nostri indicatori di liquidità confermano l'esistenza di una spaccatura tra occidente e oriente: Fed, BCE e Bank of England restano in fase di inasprimento, mentre Cina e, in misura minore, Giappone vivono un fase di allentamento. Una preoccupazione è rappresentata dalla traiettoria dei prestiti bancari: in Italia e Spagna sono già in contrazione e, sebbene i prestiti bancari negli Stati Uniti siano stati in ampia misura resilienti, l'attività sta iniziando a ridursi anche lì.
L'analisi delle valutazioni ci suggerisce che le azioni stanno diventando sempre più care: i nostri indicatori individuano prezzi 'cari' per la prima volta dall'aprile 2022. Si è aperto un divario tra le aspettative di utili e i principali indicatori economici (si veda la Fig. 2). A un certo punto questo spazio dovrà essere colmato. Delle due, l'una: o avremo una ripresa economica (cosa che riteniamo improbabile) o i prezzi delle azioni subiranno una flessione. Nel frattempo, le valutazioni obbligazionarie restano neutrali.
I nostri indicatori tecnici mostrano trend positivi per le azioni, anche se quelle statunitensi e giapponesi risultano già essere ipercomprate. La volatilità del mercato rimane bassa e la correlazione tra obbligazioni e titoli azionari si conferma negativa. Allo stesso tempo, i flussi del mercato monetario (money market) sembrano essere ai massimi livelli, un potenziale vantaggio per gli asset rischiosi.
Regioni e settori azionari: l’occasione svizzera
Wall Street è tornato a essere un mercato rialzista nel mese di giugno, ma il movimento sembra poco convincente. Rimaniamo cauti sui titoli azionari, in un contesto economico per lo più tranquillo (si veda la sezione Asset Allocation). Esistono, però, segmenti in cui scorgiamo del valore. In aggiunta alla nostra posizione di sovrappeso sui mercati emergenti (azioni cinesi escluse), abbiamo portato da neutrali a sovrappeso le azioni svizzere.
Le società poco indebitate e con margini di profitto resilienti paiono interessanti nelle fasi di crescita economica tiepida. Il mercato svizzero ospita molte aziende di questo tipo. Rettificate per le previsioni di utili a medio termine, le azioni svizzere sono scambiate a prezzi insolitamente bassi (si veda la Fig. 3), il che offre agli investitori opportunità di ingresso interessanti.
Confermiamo il nostro atteggiamento positivo nei confronti dei titoli dei mercati emergenti. Questi mercati beneficiano del miglioramento delle condizioni monetarie, di prospettive di crescita economica migliori (sia in assoluto che rispetto al mondo in via di sviluppo) e di valutazioni interessanti. Mentre gran parte del mondo sviluppato continua ad alzare i tassi di interesse a causa dell'inflazione persistente, le economie emergenti, guidate dalla Cina, sono ancora una volta al punto di poter allentare la politica monetaria e stimolare la crescita. Questo grazie in parte alle pressioni inflazionistiche relativamente tenui in tutto l'universo emergente.
Abbiamo aumentato anche la nostra esposizione ai titoli industriali, portandoli da sottopeso a neutrali. Pensiamo che il comparto beneficerà della crescita delle spese in conto capitale, indipendentemente dal fatto che questo possa dipendere dalla transizione verde, dal desiderio dei governi di ricostruire le loro catene di approvvigionamento nazionali o dalla crescente domanda di automazione.
Questi trend positivi di lungo termine sono controbilanciati nel breve dalle preoccupazioni sul ciclo attuale, che, per quanto resiliente, è vulnerabile a qualsiasi rovescio economico.
Per il resto, continuiamo a sovrappesare i servizi tecnologici e di telecomunicazione, settori che godono di utili a lungo termine, indebitamento basso e buona previdibilità della crescita degli utili. Questi titoli, inoltre, hanno contribuito a recuperare terreno rispetto al mercato in generale dopo i bruschi cali dello scorso anno. Allo stesso tempo, il nostro atteggiamento difensivo vede con favore anche i beni di prima necessità. Continuiamo a sottopesare i titoli finanziari e immobiliari: le società di entrambi i settori faranno fatica a incrementare gli utili in una fase di rialzo dei tassi e curva dei rendimenti obbligazionari invertita.
Reddito fisso e valute: salvati dalla strategia barbell
Tutte le strade del mercato del reddito fisso conducono alla strategia barbell. Le economie avanzate rallentano rispetto alle controparti dei mercati emergenti (ME); questo è un ottimo motivo per abbinare il sovrappeso nei titoli di Stato tradizionali con il debito sovrano dei mercati emergenti in valuta locale e più rischioso.
Tra tutti i mercati sviluppati, gli Stati Uniti sono probabilmente il Paese in cui ci sentiamo più a nostro agio in termini di dinamiche inflazionistiche. Qui, una politica monetaria più rigida è riuscita a ridurre le pressioni sui prezzi e potrebbe ancora avere effetti sulla crescita economica. Di conseguenza, prevediamo che la Fed terminerà presto la sua campagna di stretta monetaria ed è probabile che il rialzo di luglio sarà l'ultimo (si veda la Fig. 4). Prevediamo che, entro la fine dell'anno, i rendimenti dei Treasury a 10 anni scenderanno al 3,5%, se non addirittura al di sotto. Ciò rende gli attuali rendimenti (3,8% circa) particolarmente interessanti per un investimento difensivo tradizionale.
All'altra estremità dello spettro, continuiamo a sovrappesare le obbligazioni in valuta locale dei mercati emergenti. L'inflazione va rallentando come da previsioni e gli investitori stanno per beneficiare del fatto che le banche centrali emergenti hanno anticipato le fasi del ciclo: è quindi probabile che i tagli dei tassi di interesse arrivino prima nei Paesi emergenti che non in quelli sviluppati. Dato il probabile apprezzamento delle valute dei mercati emergenti nei confronti del dollaro, ciò suggerisce che, nei prossimi mesi, il debito in valuta locale dei mercati emergenti dovrebbe fare meglio rispetto alla maggior parte degli altri mercati rischiosi del reddito fisso.
Per il resto, sottopesiamo i titoli di Stato giapponesi, anche perché riteniamo improbabile che la politica monetaria ultra-accomodante del Paese possa essere mantenuta ancora per molto. A nostro avviso, la Bank of Japan sarà presto costretta ad abbandonare il suo noto regime di controllo della curva dei rendimenti a fronte di una crescita interna sana e di tassi di inflazione che hanno raggiunto i massimi degli ultimi 40 anni (il Giappone è l'unica economia del G-10 dove la media di produzione manifatturiera e di nuovi ordini è in espansione).
Per quanto riguarda i mercati del credito, la nostra preferenza va alle obbligazioni statunitensi investment grade. Attualmente, questi strumenti garantiscono agli investitori un rendimento superiore al 5%: un'occasione allettante vista la solidità dei bilanci degli emittenti societari di alta qualità e l'improbabilità di un aumento consistente dei tassi di interesse statunitensi.
I rendimenti investment grade paiono interessanti anche se paragonati all'8,5% offerto dal segmento high yield. Riteniamo che lo spread offerto dalle obbligazioni non investment grade sia fin troppo basso se si considera il rischio di insolvenza tra gli emittenti di livello speculativo.
Per quanto riguarda le valute, continuiamo a essere convinti che il dollaro abbia raggiunto il picco sia a livello di ciclo, che secolare. L'entità di questa sopravvalutazione è ragguardevole (i nostri modelli mostrano che il dollaro è superiore del 20% al suo fair value rispetto al paniere delle principali valute), la crescita della produttività statunitense è debole, la politica fiscale è troppo allentata e i differenziali dei tassi di interesse non sostengono più la valuta statunitense.
Quando i tassi USA avranno raggiunto il picco, è probabile che il deprezzamento del dollaro sarà particolarmente pronunciato rispetto a valute a basso rendimento, come il franco svizzero. L'oro dovrebbe essere un altro dei beneficiari nel medio termine, nonostante le valutazioni già tirate.
Panoramica sui mercati globali: cavalcando l'onda dell'IA
Le azioni sono cresciute con forza questo mese e l'indice MSCI All-Country World ha toccato i massimi degli ultimi 14 mesi. Gli investitori sono sempre più fiduciosi circa il fatto che gli sforzi delle banche centrali (Fed in testa) volti a domare l'inflazione stiano iniziando ad avere l'effetto desiderato e che l'economia globale possa evitare una brusca flessione.
I dati hanno evidenziato chiaramente un rallentamento dell'inflazione negli Stati Uniti: l'indice dei prezzi PCE di maggio ha registrato l'aumento su base annua meno consistente dall'aprile 2021 (3,8%). Al contempo, però, il calo a sorpresa delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione e la solidità dei dati sul PIL nel primo trimestre hanno ribadito la resilienza dell'economia statunitense, suggerendo così che il ciclo di rialzi del tasso guida della Fed potrebbe continuare ancora per un po'.
Le aziende del settore industriale e quelle dei beni di consumo voluttuari hanno registrato i risultati migliori; bene anche i titoli energetici e dei materiali grazie all'attenuarsi dei timori di una recessione.
La previsione di solidi ricavi del produttore di chip Nvidia ha innescato un rally che ha fatto salire i titoli della tecnologia di oltre il 5% in dollari USA. L'indice tecnologico Nasdaq Composite è cresciuto di oltre il 30% nella prima metà del 2023: la performance migliore degli ultimi quarant'anni.
Il Giappone ha registrato la performance azionaria migliore su base regionale.
La combinazione di solida ripresa economica dalla crisi del COVID, inflazione moderata ed esportazioni robuste mette in luce le prospettive delle società giapponesi. Secondo Bank of America Global Research, nelle ultime quattro settimane, i fondi azionari giapponesi hanno registrato flussi in entrata per circa 7,9 miliardi di dollari: la cifra più elevata per un periodo di quattro settimane dall'aprile 2020.
Per quanto riguarda i mercati dei titoli di Stato, il punto debole sono stati i Gilt britannici, dopo che la banca centrale ha sorpreso il mercato portando al 5% il tasso guida: un rialzo di 50 punti base (superiore alle previsioni).
La persistenza dell'inflazione spinge gli investitori a prevedere rialzi dei tassi di interesse di ulteriori 100 punti base nei prossimi mesi.
Grazie alla forte spinta fornita dall'indebolimento del dollaro, il debito in valuta locale dei mercati emergenti ha sovraperformato quello omologo dei mercati sviluppati.
A testimonianza della solidità di questa asset class, lo spread di rendimento tra JP Morgan EMBI Composite e Global Bond Index è sceso al minimo storico di 130 punti base, meno della metà della mediana a 400 punti base degli ultimi 20 anni.
Per quanto riguarda i mercati valutari, lo yen è sceso al minimo storico in termini reali, toccando il punto più basso degli ultimi sette mesi, sotto quota 145 per dollaro. A differenza delle stretta operata dalle altre banche centrali, la Bank of Japan ha confermato la sua politica monetaria ultra-accomodante malgrado l'inflazione core (CPI) del Paese abbia raggiunto il massimo degli ultimi 41 anni.
A giugno, il dollaro ha perso più dell'1% rispetto alle principali valute dopo che la Fed ha terminato la sua serie di 10 aumenti consecutivi dei tassi.